Oggi cadde Berlino. Assieme alla liberazione, gli stupri di massa

Oggi ricorre il 75° anniversario della liberazione di Berlino e della Germania dal Terzo Reich, da quel regime che noi tutti riteniamo a ben vedere “il Male totale”.  Ma in questa celebrazione ci sono vittime che non hanno mai avuto davvero voce: milioni di donne stuprate, il cui dolore è stato ingoiato, negato e mal studiato per anni. 

Chissà come era il cielo di Berlino quegli ultimi giorni, chissà se si poteva vedere bene, nascosti come si era nelle cantine dei palazzi, stipati e ammassati al buio, con il frastuono delle sirene, con il rumore dell’artiglieria, le urla in russo e in tedesco. Chissà come sarà stato uscire fuori durante l’assedio per procurarsi il cibo. Spesso non si riconoscevano più le strade perché erano crollati interi blocchi di palazzi, interi quartieri smembrati, strade irriconoscibili. Si faceva a turno, si lasciava la cantina o il rifugio e si usciva fuori per cercare acqua o un tozzo di pane. Allora la città che conoscevi non era più la stessa, ma un ammasso di rovine, spari, corpi trucidati, adolescenti smembrati nel tentativo di fermare “gli Ivan”, i Russi, che ormai da Tempelhof e altri quartieri erano entrati in città.

Esci come un topo dalla tua tana e vedi giovani impiccati agli alberi o pali, forse madri che li piangono come Cristi morti: giovani disertori, che non volevano arruolarsi per la battaglia finale e che fino alle ultime ore furono presi dalle SS e ammazzati lì per strada, esposti come vergogna. E chissà in quelle cantine quanti, tra i tanti che tremavano e pisciavano e si ammalavano e piangevano e imprecavano insieme, avevano aiutato la Gestapo ad arrestare un vicino che aveva nascosto il medico di famiglia o libraio ebreo del quartiere. Chissà come deve essere stato condividere lo spazio, la paura, e la rabbia, tra persone così diverse. Il signor Hermann che imprecava contro “i porci comunisti”, assieme al dottor Fritz che imprecava contro “i porci nazisti “ e quel “bastardo dello zoppo”, Goebbels, che ancora aveva il coraggio per radio e sui giornaletti di Propaganda di dire che la guerra non era finita, che il popolo tedesco avrebbe trionfato. 

E poi esci, è il tuo turno, le viscere si contraggono e sudi terrore. Forse tra cadaveri e fango e macerie, il tuo sguardo si ferma sulle pagine di un diario scritto a mano, occhiali rotti o il giocattolo di un bambino; forse ti fermi e quella frazione di secondo della tua vita diventa un varco di coscienza e ti ricordi di quando hai dovuto fingere di non essere iscritto ai sindacati comunisti e di odiare gli ebrei, forse una morsa alla gola ti farà capire che davanti a quelle macerie, a quel rogo, ai quei corpi, tu hai colpa. 

Perché sei stato zitto, perché avevi figli, perché avevi paura o perché in fondo, pensavi davvero che gli ebrei toglievano il lavoro ai tuoi ragazzi, o perché in fondo il feldmaresciallo del piano di sopra era tanto una brava persona, o perché, in fondo, così fan tutti. 

I berlinesi non erano dei grandi amanti di Hitler, Hitler odiava Berlino che era piena zeppa di spie, una città piena di locali gay e lesbo, di prostitute, gigolò, avventurieri, comunisti, anarchici, vagabondi, artisti. Tutti avevano preso e terrorizzato: iniziando dai quartieri comunisti fino ai locali della bella vita pieni di omosessuali. Ma le notti brave berlinesi erano continuate, in clandestinità o alla luce del sole, con i cabaret e il sesso, la sifilide e la cocaina, tanto amata anche dei gerarchi nazisti. 

Ora Berlino era una possente statua crollata, la famosa “Berolina”, che come un’Atena nordica sconfitta, non poteva più proteggere i suoi figli e figliastri. 

Gli “Ivan” erano entrati in città, “ che liberazione!” pensarono molti, altri si suicidavano per le strade combattendo follemente, altri, la maggior parte, restava nelle cantine. Ad aspettare.

Marta, Elga, Ruth, non solo solo nomi, ma alcune tra le due milioni di donne che gli storici sostengono siano state stuprate durante la liberazione della Germania dai nazisti. Molte di loro erano in quelle cantine con i figli piccoli, senza mariti perché in guerra. Ho letto alcune delle loro storie e visto documentari. Queste storie non sarebbero mai emerse se non fosse per altre donne che hanno vissuto di prima persona, raccontato e raccolto le loro storie. Due di loro sono Marta Dietschy-Hillers e Helke Sander .

La sera del 26 aprile 1945 i reparti dell’ottava Armata Rossa al comando del generale Vasilij Ivanovič Čujkov, si impadronirono dell’aeroporto di Tempelhof,  un quartiere di Berlino. Furono le prime unità che entrano in città. Il generale stabilì il suo quartier generale poco lontano dal quartiere situato in Manfred-von-Richthofen-Straße 13, dove abitava Marta Dietschy-Hillers che ha pubblicato i suoi diari di quei giorni. Un bestseller inizialmente anonimo: ”Una donna a Berlino. Diario Records dal 20 aprile al 22 giugno 1945″. Marta nel suo diario racconta la sua vita e quella dei suoi vicini di casa in cantina, quando ho vissuto a Berlino ho ripercorso quei luoghi non lontani dal mio stesso quartiere, una zona al confine tra Kreuzberg e Shoeneberg ( il famoso quartiere di gay e cabaret dove visse La Dietrich e poi Bowie). Scrive nel suo libro sui giorni nascosta in cantina:

“Siamo per lo più dell’alta e bassa borghesia, con una spolverata di lavoratori. Mi guardo intorno e faccio il punto della situazione. La prima è la moglie del panettiere, due guance rosse e paffute fasciate in un collare di pelle d’agnello. […] Il gobbo dottore in chimica della compagnia di bibite, accasciato sulla poltrona come uno gnomo. […] Erna e Henni del panificio, che restano con il loro datore di lavoro perché era impossibile per loro tornare a casa.

[…] il panettiere che è andato nel suo appezzamento di terreno per seppellire il suo argento (è l’unico nell’edificio con un biglietto rosso di III classe) […] Di fronte a me c’è un signore anziano, un uomo d’affari, avvolto in coperte e che suda febbrilmente. Accanto a lui c’è sua moglie, che parla con la “s” di Amburgo, e la loro figlia diciottenne, che chiamano Stinchen, con la stessa “s”. […] Il magro direttore delle poste in pensione e sua moglie […]. Anche l’ingegnere del terzo piano è assente, insieme alla moglie e al figlio”.

Marta, come moltissime altre donne che conosceva, fu stuprata dai soldati dell’Armata Rossa anche 15 volte di seguito e in gruppo, furono stuprate ragazzine di 10 anni, anziane, disabili e donne già incinte. Marta da giovane era stata comunista, aveva anche vissuto in Russia  nel settembre del ’31,  a Mosca. Nel maggio del 1936, sua madre fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico per aver urlato invettive contro i nazisti. Il  25 giugno 1941 morì inaspettatamente. La causa ufficiale della morte fu l’insufficienza cardiaca. Non si sa se fosse vero o se fosse diventata vittima della politica di eutanasia dei nazisti.

Scrive ancora Marta:

“Was I for… or against? What’s clear is that I was there, that I breathed what was in the air, and it affected all of us even if we didn’t want it to.”

La sua visione della fine della guerra, il suo sguardo spietato, a volte cinico, sui suoi connazionali e la visione femminista furono in anticipo sui suoi tempi: quando il libro fu pubblicato in tedesco nel 1959 dalla piccola casa editrice di Helmut Kossodo, incontrò poca approvazione. Per anni le violenze sessuali subite dalle donne tedesche sono state messe a tacere o taciute per vergogna o per paura di delegittimare l’antinazismo e la denazificazione. La prima edizione del diario che è stata pubblicata negli Stati Uniti nel 1954 con il titolo “Una donna a Berlino” con la prefazione di Marek, in cui egli testimoniava l’autenticità del diario, invece andò benissimo. Seguirono presto altre traduzioni in dodici lingue .

Helke Sander , femminista tedesca, ha intervistato diverse donne tedesche che furono violentate a Berlino dai soldati sovietici nel maggio 1945. La maggior parte delle donne non ha mai parlato della loro esperienza con nessuno, soprattutto a causa della vergogna legata allo stupro nella cultura tedesca dell’epoca. Helke Sander documenta le gravidanze, gli aborti, i figli illegittimi che ne sono risultati, così come la rottura dei rapporti familiari, la stigmatizzazione che queste donne hanno subito, e la costrizione mentale e fisica che queste donne hanno subito all’epoca degli stupri e i trattati tra i tedeschi e i sovietici che non hanno mai parlato di risarcimenti per gli stupri. Intervista anche i soldati sovietici e tedeschi che hanno ammesso di aver violentato le donne durante la guerra. Sander utilizza filmati d’archivio, rievocazioni, testimonianze personali e commenti a voce alta per descrivere l’entità e il risultato degli stupri di guerra. Chiarisce inoltre che il suo lavoro è politicamente motivato a portare gli stupri di guerra all’attenzione dei comitati internazionali, sostenendo che gli stupri di guerra continuano ancora oggi. Il suo film ha convinto le Nazioni Unite a considerare lo stupro di guerra come un crimine di guerra: qui una sua bellissima intervista: “BEFreier und BeFreite”documentario tradotto in inglese “Liberators take liberties”. 

In “Crimini non detti: lo stupro di donne tedesche alla fine della seconda guerra mondiale”, la storica Miriam Gebhardt presenta ai lettori un resoconto dettagliato e accuratamente studiato dell’entità della violenza sessuale perpetrata dalle forze alleate contro le donne tedesche. La recente discussione si è concentrata principalmente sulle aggressioni commesse dalle truppe sovietiche, ma l’autrice sostiene che questo non rappresenta l’intero quadro.

Sono passati 75 anni, sono nati bambini da quegli stupri, tanto dolore è rimasto sepolto tra le macerie di Berlino, che oggi, 75 anni fa, cadeva inesorabilmente assieme ad un regime che aveva fatto della psicopatia, morale ed etica. Quelle donne, pur nella celebrazione, non vanno dimenticate. 

Un pensiero su “Oggi cadde Berlino. Assieme alla liberazione, gli stupri di massa

  1. Le guerre sono due volte orribili: lo sono come catastrofe oggettiva (morte, distruzione, disperazione, fame e si, anche stupri. Che siano º un milione non fa differenza; che sian stati perpetrati dagli Ivan o dai John non cambia la sostanza: l’umiliazione, la rabbia, il dolore…
    Ciò che resta, anche dopo la rimozione delle macerie e dopo settant’anni, è la certezza di vivere in un mondo peggiore. Tra i soprusi di guerra e uno stato assassino come Israele, tra i muri di Berlino e quelli invisibili ma non per questo meno dolorosi del razzismo, l’ipocrisia bipartisan che sta uccidendo il mondo, rivangare, ricordare, indignarsi…
    Prima o poi in Trump, un Netanyau, un Kim l’umanità lo partorisce. E siamo di nuovo agli omicidi, agli stupri, ale guerre dimenticate.
    Fino alla prossima sterile indignazione.
    Le vipere sono più oneste di noi: almeno non tentano di giustificarsi…

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