Angoscia di morte, faide sui social e Pandemia

In questi due anni di pandemia da Covid 19 la nostra società si è divisa, ha litigato ferocemente e ha iniziato ad odiarsi. Le principali ” fazioni” sui social, così come nella vita di tutti giorni sono ” aperturisti” vs ” chiusuristi”, Pro vax contro No vax , responsabili vs irresponsabili , ma infondo quello che ci insegna la psicologia e quello che mi ha insegnato la mia esperienza personale è che davanti ad un trauma così potente e pervasivo, che coinvolge la nostra stessa sopravvivenza e ci riguarda fin le più profonde radici del soma, siamo tutti uguali. Ora inorridiranno i bravi cittadini vaccinati ( come d’altronde sono io ) e gli stessi NoVAX: ” ma cosa dice? come posso essere messo sullo stesso piano di chi nega la scienza?” oppure : ” ma come si permette ad equipararmi a chi sta sterminando con un siero sperimentale la popolazione?”. Avete ragione, le nostre posizioni coscienti, i nostri metodi di coping, il modo in cui ci difendiamo, è del tutto diverso. Ma c’è qualcosa di molto più profondo che ci riguarda tutti, scienziati, panettieri, artigiani, studenti, bambini, madri, avvocati, laureati o analfabeti: TUTTI ABBIAMO PAURA DELLA MORTE. E quando arriva un trauma che ci ricorda che siamo tremendamente mortali, in ognuno di noi, si riattiva una paura atavica e connaturata alla nostra specie: la paura della morte, della dissoluzione e scattano i meccanismi di difesa o schemi motivazionali: in qualche modo cerchiamo strategia per sopravvivere. Se fin qui siamo tutti d’accordo, se persino il più negazionista chiude un occhio e nel suo cuore sa, di negare un pericolo perché ne ha terribilmente paura, allora possiamo andare avanti. Il simbolo qui sotto si chiama Uroboro, il serpente che si mangia la coda. un simbolo a differenza di un segno ( tipo la segnaletica stradale), non è uguale per tutti ma ha un messaggio universale. L’uroboro è, detta in modo molto semplificato; l’origine di tutto, il grembo che ci conteneva, l’utero protettivo dove tutti gli opposti sono indifferenziati, la cellula primordiale dove dormivamo beati, non scissi, indifferenziati, placidi, protetti. Ed è proprio in quell’utero compensatorio e protettivo in cui vorremmo rientrare ogni volta che arriva una difficoltà. Ma l’uroboro, come tutti i simboli archetipici ha due poli opposti. Queste polarità ci danno l’indicazione di come trovare un equilibrio. Il grande cerchio simboleggia una centratura ma anche il pericoloso rintanarsi sotto le gonne della mamma, l’introversione patologica. Quello che rischiamo psicologicamente è di regredire all’indifferenziato, all’arcaico e irrigidirci. Il serpente però è anche simbolo di cura ( vedi il caduceo di Esculapio ), quindi un introversione periodica può essere sana, quando riunisce gli opposti. Che significa? che davanti ad un trauma forte la psiche tende a scindersi, il dolore è troppo grande e allora proiettiamo le nostre angosce su un gruppo, un nemico, al di fuori di noi. In questo modo però, non stiamo lenendo una paura ma la stiamo imbottendo di Xanax. L’eroe che nelle fiabe e miti affronta il drago, il serpente malvagio, ciò il mostro che ne blocca lo sviluppo, esce dall’utero, dalla sicurezza della terra madre e del suo paese, per affrontare la sua paura. Allora, dopo averla guardata in faccia, può reintegrare le sue parti scisse. Restare ancorati alle proiezioni, odiare l’altro, negare la paura, rintanarsi in casa, leggere H24 le notizie, così come far finta di nulla, non cambierà la realtà. Abbiamo uno scopo ed è cercare il più possibile di auto osservarci, fermando l’azione e guardandoci dall’alto. Come stiamo reagendo? quanto stiamo odiando? perché? Come possiamo rendere meno rigido il nostro atteggiamento? Riusciamo ad ammettere almeno a noi stessi, senza vergogna, di aver paura?

Uroboro immagine presa da Stream DSTM

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Conversazioni di Cura

Tutti noi, in modo più o meno consapevole, facciamo ricorso ai Bias Cognitivi per interpretare la realtà e il mondo che ci circonda. Ma cosa sono esattamente i Bias Cognitivi? Scopriamolo assieme in questa interessante chiacchierata del nostro Achille Saletti con la psicologa e blogger (Il Fatto Quotidiano, Huffington Post) e psicoterapeuta Barbara Collevecchio.

Oggi cadde Berlino. Assieme alla liberazione, gli stupri di massa

Oggi ricorre il 75° anniversario della liberazione di Berlino e della Germania dal Terzo Reich, da quel regime che noi tutti riteniamo a ben vedere “il Male totale”.  Ma in questa celebrazione ci sono vittime che non hanno mai avuto davvero voce: milioni di donne stuprate, il cui dolore è stato ingoiato, negato e mal studiato per anni. 

Chissà come era il cielo di Berlino quegli ultimi giorni, chissà se si poteva vedere bene, nascosti come si era nelle cantine dei palazzi, stipati e ammassati al buio, con il frastuono delle sirene, con il rumore dell’artiglieria, le urla in russo e in tedesco. Chissà come sarà stato uscire fuori durante l’assedio per procurarsi il cibo. Spesso non si riconoscevano più le strade perché erano crollati interi blocchi di palazzi, interi quartieri smembrati, strade irriconoscibili. Si faceva a turno, si lasciava la cantina o il rifugio e si usciva fuori per cercare acqua o un tozzo di pane. Allora la città che conoscevi non era più la stessa, ma un ammasso di rovine, spari, corpi trucidati, adolescenti smembrati nel tentativo di fermare “gli Ivan”, i Russi, che ormai da Tempelhof e altri quartieri erano entrati in città.

Esci come un topo dalla tua tana e vedi giovani impiccati agli alberi o pali, forse madri che li piangono come Cristi morti: giovani disertori, che non volevano arruolarsi per la battaglia finale e che fino alle ultime ore furono presi dalle SS e ammazzati lì per strada, esposti come vergogna. E chissà in quelle cantine quanti, tra i tanti che tremavano e pisciavano e si ammalavano e piangevano e imprecavano insieme, avevano aiutato la Gestapo ad arrestare un vicino che aveva nascosto il medico di famiglia o libraio ebreo del quartiere. Chissà come deve essere stato condividere lo spazio, la paura, e la rabbia, tra persone così diverse. Il signor Hermann che imprecava contro “i porci comunisti”, assieme al dottor Fritz che imprecava contro “i porci nazisti “ e quel “bastardo dello zoppo”, Goebbels, che ancora aveva il coraggio per radio e sui giornaletti di Propaganda di dire che la guerra non era finita, che il popolo tedesco avrebbe trionfato. 

E poi esci, è il tuo turno, le viscere si contraggono e sudi terrore. Forse tra cadaveri e fango e macerie, il tuo sguardo si ferma sulle pagine di un diario scritto a mano, occhiali rotti o il giocattolo di un bambino; forse ti fermi e quella frazione di secondo della tua vita diventa un varco di coscienza e ti ricordi di quando hai dovuto fingere di non essere iscritto ai sindacati comunisti e di odiare gli ebrei, forse una morsa alla gola ti farà capire che davanti a quelle macerie, a quel rogo, ai quei corpi, tu hai colpa. 

Perché sei stato zitto, perché avevi figli, perché avevi paura o perché in fondo, pensavi davvero che gli ebrei toglievano il lavoro ai tuoi ragazzi, o perché in fondo il feldmaresciallo del piano di sopra era tanto una brava persona, o perché, in fondo, così fan tutti. 

I berlinesi non erano dei grandi amanti di Hitler, Hitler odiava Berlino che era piena zeppa di spie, una città piena di locali gay e lesbo, di prostitute, gigolò, avventurieri, comunisti, anarchici, vagabondi, artisti. Tutti avevano preso e terrorizzato: iniziando dai quartieri comunisti fino ai locali della bella vita pieni di omosessuali. Ma le notti brave berlinesi erano continuate, in clandestinità o alla luce del sole, con i cabaret e il sesso, la sifilide e la cocaina, tanto amata anche dei gerarchi nazisti. 

Ora Berlino era una possente statua crollata, la famosa “Berolina”, che come un’Atena nordica sconfitta, non poteva più proteggere i suoi figli e figliastri. 

Gli “Ivan” erano entrati in città, “ che liberazione!” pensarono molti, altri si suicidavano per le strade combattendo follemente, altri, la maggior parte, restava nelle cantine. Ad aspettare.

Marta, Elga, Ruth, non solo solo nomi, ma alcune tra le due milioni di donne che gli storici sostengono siano state stuprate durante la liberazione della Germania dai nazisti. Molte di loro erano in quelle cantine con i figli piccoli, senza mariti perché in guerra. Ho letto alcune delle loro storie e visto documentari. Queste storie non sarebbero mai emerse se non fosse per altre donne che hanno vissuto di prima persona, raccontato e raccolto le loro storie. Due di loro sono Marta Dietschy-Hillers e Helke Sander .

La sera del 26 aprile 1945 i reparti dell’ottava Armata Rossa al comando del generale Vasilij Ivanovič Čujkov, si impadronirono dell’aeroporto di Tempelhof,  un quartiere di Berlino. Furono le prime unità che entrano in città. Il generale stabilì il suo quartier generale poco lontano dal quartiere situato in Manfred-von-Richthofen-Straße 13, dove abitava Marta Dietschy-Hillers che ha pubblicato i suoi diari di quei giorni. Un bestseller inizialmente anonimo: ”Una donna a Berlino. Diario Records dal 20 aprile al 22 giugno 1945″. Marta nel suo diario racconta la sua vita e quella dei suoi vicini di casa in cantina, quando ho vissuto a Berlino ho ripercorso quei luoghi non lontani dal mio stesso quartiere, una zona al confine tra Kreuzberg e Shoeneberg ( il famoso quartiere di gay e cabaret dove visse La Dietrich e poi Bowie). Scrive nel suo libro sui giorni nascosta in cantina:

“Siamo per lo più dell’alta e bassa borghesia, con una spolverata di lavoratori. Mi guardo intorno e faccio il punto della situazione. La prima è la moglie del panettiere, due guance rosse e paffute fasciate in un collare di pelle d’agnello. […] Il gobbo dottore in chimica della compagnia di bibite, accasciato sulla poltrona come uno gnomo. […] Erna e Henni del panificio, che restano con il loro datore di lavoro perché era impossibile per loro tornare a casa.

[…] il panettiere che è andato nel suo appezzamento di terreno per seppellire il suo argento (è l’unico nell’edificio con un biglietto rosso di III classe) […] Di fronte a me c’è un signore anziano, un uomo d’affari, avvolto in coperte e che suda febbrilmente. Accanto a lui c’è sua moglie, che parla con la “s” di Amburgo, e la loro figlia diciottenne, che chiamano Stinchen, con la stessa “s”. […] Il magro direttore delle poste in pensione e sua moglie […]. Anche l’ingegnere del terzo piano è assente, insieme alla moglie e al figlio”.

Marta, come moltissime altre donne che conosceva, fu stuprata dai soldati dell’Armata Rossa anche 15 volte di seguito e in gruppo, furono stuprate ragazzine di 10 anni, anziane, disabili e donne già incinte. Marta da giovane era stata comunista, aveva anche vissuto in Russia  nel settembre del ’31,  a Mosca. Nel maggio del 1936, sua madre fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico per aver urlato invettive contro i nazisti. Il  25 giugno 1941 morì inaspettatamente. La causa ufficiale della morte fu l’insufficienza cardiaca. Non si sa se fosse vero o se fosse diventata vittima della politica di eutanasia dei nazisti.

Scrive ancora Marta:

“Was I for… or against? What’s clear is that I was there, that I breathed what was in the air, and it affected all of us even if we didn’t want it to.”

La sua visione della fine della guerra, il suo sguardo spietato, a volte cinico, sui suoi connazionali e la visione femminista furono in anticipo sui suoi tempi: quando il libro fu pubblicato in tedesco nel 1959 dalla piccola casa editrice di Helmut Kossodo, incontrò poca approvazione. Per anni le violenze sessuali subite dalle donne tedesche sono state messe a tacere o taciute per vergogna o per paura di delegittimare l’antinazismo e la denazificazione. La prima edizione del diario che è stata pubblicata negli Stati Uniti nel 1954 con il titolo “Una donna a Berlino” con la prefazione di Marek, in cui egli testimoniava l’autenticità del diario, invece andò benissimo. Seguirono presto altre traduzioni in dodici lingue .

Helke Sander , femminista tedesca, ha intervistato diverse donne tedesche che furono violentate a Berlino dai soldati sovietici nel maggio 1945. La maggior parte delle donne non ha mai parlato della loro esperienza con nessuno, soprattutto a causa della vergogna legata allo stupro nella cultura tedesca dell’epoca. Helke Sander documenta le gravidanze, gli aborti, i figli illegittimi che ne sono risultati, così come la rottura dei rapporti familiari, la stigmatizzazione che queste donne hanno subito, e la costrizione mentale e fisica che queste donne hanno subito all’epoca degli stupri e i trattati tra i tedeschi e i sovietici che non hanno mai parlato di risarcimenti per gli stupri. Intervista anche i soldati sovietici e tedeschi che hanno ammesso di aver violentato le donne durante la guerra. Sander utilizza filmati d’archivio, rievocazioni, testimonianze personali e commenti a voce alta per descrivere l’entità e il risultato degli stupri di guerra. Chiarisce inoltre che il suo lavoro è politicamente motivato a portare gli stupri di guerra all’attenzione dei comitati internazionali, sostenendo che gli stupri di guerra continuano ancora oggi. Il suo film ha convinto le Nazioni Unite a considerare lo stupro di guerra come un crimine di guerra: qui una sua bellissima intervista: “BEFreier und BeFreite”documentario tradotto in inglese “Liberators take liberties”. 

In “Crimini non detti: lo stupro di donne tedesche alla fine della seconda guerra mondiale”, la storica Miriam Gebhardt presenta ai lettori un resoconto dettagliato e accuratamente studiato dell’entità della violenza sessuale perpetrata dalle forze alleate contro le donne tedesche. La recente discussione si è concentrata principalmente sulle aggressioni commesse dalle truppe sovietiche, ma l’autrice sostiene che questo non rappresenta l’intero quadro.

Sono passati 75 anni, sono nati bambini da quegli stupri, tanto dolore è rimasto sepolto tra le macerie di Berlino, che oggi, 75 anni fa, cadeva inesorabilmente assieme ad un regime che aveva fatto della psicopatia, morale ed etica. Quelle donne, pur nella celebrazione, non vanno dimenticate. 

L’Italia incattivita, Trump, Salvini e l’archetipo del Bullo

Cosa significa crescere, diventare adulti? Per alcuni sviluppare la propria personalità e realizzarla nel mondo, con tutte le sue difficoltà e scogli da superare; per altri perdere un magico mondo autarchico in cui si è onnipotenti, in cui esistono fate e sirene. Per alcuni crescere, significa perdere la totipotenzialità adolescenziale, quella sensazione inebriante di invincibilità, di negazione del principio di realtà, di autorevolezza e, in fin dei conti, di negazione della morte.

Ognuno di noi sa benissimo quanto sia difficile passare dallo stato di adolescenti e bambini a quello di adulti, e quanto questo momento sia segnato dalla ribellione.PUBBLICITÀ  

Ribellarsi è giusto? Certo che lo è, ed è anche inevitabile e sano. Come possiamo diventare noi stessi se prima non uccidiamo metaforicamente i nostri genitori? Il problema sorge quando questo processo sano di ribellione si irrigidisce e dalla sana ribellione verso l’ottusità dell’autorità, ci si incancrenisce nel disprezzo cinico e regressivo nei confronti di tutto ciò che è invece, autorevole.

Tra autorevolezza e autorità c’è infatti una bella differenza: se spesso l’autorità si impone in modo rigido e violento, l’autorevolezza invece viene riconosciuta senza imposizioni. Questo processo quindi dipende molto dal tipo di genitori che abbiamo avuto. Se abbiamo subito genitori autoritari, il nostro adolescente interiore rischia di rimanere intrappolato in una risposta autodistruttiva che può portarci a diventare cinici, bulli, violenti, non fecondi.

Una ribellione, una insurrezione può avere un profondo senso psichico quando diventa nutriente, feconda, quando alla distruzione delle vecchie norme stantie, subentra la creazione. Non a caso la grande Emma Goldman diceva: “Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione”.

Cosa c’entra tutto questo con lacerazione della nostra società e con la politica?

A oggi un po’ ovunque in Occidente, abbiamo due schieramenti principali: politici che usano una comunicazione da Bullo (Trump, Orban, Salvini, Grillo) i così chiamati Populisti o sovranisti e altri che vengono identificati nell’establishment.

I primi, quelli che io credo aderiscano all’archetipo del Bullo, cioè un Peter Pan irrigidito nel cinismo e rabbia contro i padri, riversano attraverso la loro propaganda nei social la loro personalissima “Isola che non c’è”: una tale quantità di rabbia non elaborata, di gogna verso i nemici e cinismo, da inflazionare l’inconscio collettivo, irrigidire le rappresentazioni sociali e diffondere un clima molto poco sano nel dibattito pubblico.

Quando viene risvegliato al livello sociale l’archetipo di Peter Pan, non significa solamente che tutta la società non vuole invecchiare, nega la morte, l’impegno e sogna di vivere in un’eterno godimento infantile. C’è un lato ancora più distruttivo dell’archetipo che è quello di sfociare in vendetta verso i padri cattivi, odio, cinismo come risposta al tradimento dei genitori che non sono stati capaci di dare sicurezza e accoglimento.

Ci si sclerotizza nell’archetipo del bullo, tanto più si hanno avuto genitori distanti e autoritari, genitori e specialmente padri che hanno fallito nel far sentire i figli protetti, al sicuro (notare quanto l’ossessione di Trump e Salvini sia la sicurezza).

Questo non vuol dire che Trump o Salvini, con i loro insulti, con il loro inveire e additare i nemici, con il loro metterli alla gogna, siano malati: semplicemente la loro leadership risponde a una profonda mancanza, a una profonda sofferenza che c’è nella nostra società.

Jung scriveva del nazismo che rappresentò la patologia di una intera nazione, ma gli psichiatri che a Norimberga visitarono e sottoposero a test i gerarchi nazisti, non rilevarono alcuna patologia personale, anzi QI superiori alla media. Quindi non ci illudiamo: i messaggi da bulli e di odio o di persuasione possono sembrare stupidi, infantili ma dietro c’è una precisa strategia e la conoscenza di un target da colpire, la consapevolezza che con certe determinate affermazioni, si provoca piacere e soddisfazione in una fetta di popolazione, la si istiga allo sfogo immediato e non filtrato, della rabbia sociale.

Salvini e Trump non sono che il sintomo di una grossa parte della società che chiede vendetta ed è arrabbiata contro Capitan Uncino che non è altro che la vecchia classe dirigente, rea di averla tradita. Se è vero che l’1% dei ricchi detiene più del 50% della ricchezza mondiale, che le diseguaglianze martoriano le nostre nazioni, che c’è un gap pazzesco tra periferie, zone rurali e centro delle città, se è vero che piena occupazione non vuoi dire equa distribuzione della ricchezza, se è vero che c’è stata corruzione, distanza dal popolo, mancanza dia ascolto (vedi recente rapporto del CISE), allora ci rendiamo immediatamente conto come il problema non è Salvini, non è Trump che danno volgarmente voce a questa rabbia, ma che una sofferenza non è stata ascolta e che la famosa ” gente” si è sentita tradita.

Come reagite voi ad un tradimento? Non siamo ipocriti: molti di noi arrivano a diventare violenti, aggressivi, a usare parolacce. Molti di noi additano l’amante e lo mettono alla berlina, e odiano il traditore. È umano. Ciò che non è sano però è che non ci sia elaborazione, che il bullismo sia diventato oramai fenomeno nazionale e che sul web e anche fuori oramai si sia sdoganato il bullismo contro chiunque sia diverso.

Ciò che non è sano e non è neppure umano, è scrivere o urlare “sporco negro” a qualcuno, o “troia” a qualunque donna osi criticare il proprio leader. Anche Lucignolo e Peter Pan avevano la loro banda, ricordate i bambini sperduti? Se gli togliete l’aura fiabesca, essi si trasformano in spietati bulli pronti a malmenare il più debole.

C’è una bella differenza tra il continuare a saper sognare, tra il mantenere viva la nostra parte fanciullesca, quella capace di andare contro gli schemi e la bieca autorità e lo scivolare nell’appartenenza ad una gang violenta. Questa scelta paranoide di diventare fan più che sostenitori politici, la dice lunga su ciò che questo stile di leadership da Bullo. La ricerca della perfezione, le prove di devozione, i giuramenti su magici contratti, l’odio per chiunque sia diverso, la strafottenza, le risposte da bullo, l’arroganza, lo scagliarsi su chi è più debole cosa sono?

Quando un gruppo di bambini trova un cucciolo di gattino e invece di nutrirlo, lo martoria, quando identificano nel bambino più debole una vittima, e nel più arrogante e violento il leader, non stanno facendo altro che scagliarsi con ferocia contro tutto ciò che più gli fa paura: la debolezza. Bullizzare vuol dire tradire il proprio senso di inferiorità vissuto come insostenibile e quindi proiettato all’esterno. Picchiare o insultare il diverso o chi non la pensa come noi tradisce la nostra insicurezza.

A cosa dovrebbe servire questa analisi? A capire che la nostra società ha una profonda sofferenza che viene incarnata nella venerazione di leader bulli e cinici che permettono a troppi di sfogare frustrazioni e rabbia non contro un sistema iniquo ma attraverso l’immediato godimento della ruspa.

La ruspa, simbolo magico regressivo dello sfogo, del buttar tutto ciò, del togliere via lo sporco. Quando non si ha il coraggio di guardare allo sporco che c’è dentro di noi. Chi, all’opposizione crede che la risposta sia altrettanto disprezzo per le masse ignoranti e arrabbiate, non solo tradisce il suo disprezzo e quindi paura della povertà e sofferenza sociale, ma li alimenta, colpevolmente.

#Facciamorete : come fare davvero rete per sconfiggere il razzismo dell’estrema destra

La maestosa potenza delle parole: in tedesco Ergriffenheit ( emozione) deriva dal verbo Greifen : afferrare. L’emozione è qualcosa che ti afferra. Emozione dal latino emovère (ex = fuori + movere = muovere) letteralmente portare fuori, smuovere. L’emozione dunque è qualcosa che ti afferra e ti porta ad agire. Ecco qui il senso di una comunicazione efficace. Ecco perché chi sa usare abilmente la comunicazione in politica, può portare le persone a compiere azioni, ad essere sedotta e a passare all’azione. Passare all’atto può significare semplicemente cambiare atteggiamento ed opinione, andare a votare per un determinato candidato, così come ” incazzarsi” e iniziare ad aggredire gente per strada se il politico di riferimento crea un nemico da odiare.

Che cosa hanno in comune la comunicazione di , , e ? una comunicazione basata su due concetti emotivi : paura e urgenza. Paura e urgenza sono potenti emozioni che scatenano l’azione e cambiano gli atteggiamenti.

I politici che usano la crisi per manipolare cercano di aumentare la paura e insicurezza. Il loro scopo è quello di creare un senso di sventura certa che può essere evitato solo eleggendoli. Il meccanismo è : devi avere paura, sentirti insicuro e credere che solo io posso proteggerti.

La mia domanda è: se non ci sono reali percezioni di paura, urgenza, crisi, può la propaganda, anche molto sofisticata, arrivare a creare emozioni e dunque a cambiare atteggiamenti e motivare al voto? Secondo una ricerca non vi sono dubbi sul fatto che la presenza o l’assenza di immigrati e il modo in cui l’immigrazione è inquadrata da altri attori politici e dai media è uno dei principali fattori che contribuiscono al sostegno dell’estrema destra.  

Cosa significa questo? che se c’è un’estrema destra che ritiene gli immigrati pericolosi, se i media pompano notizie del genere, se altri partiti si accodano, che l’immigrazione sia un forte pericolo ed urgenza, diventa mainstream cioè le persone ci credono e se ne convincono. Visto che tendiamo a credere a ciò che conferma i nostri punti di vista attuali, il bias di conferma, uno dei molti bias cognitivi che influenzano il nostro pensiero, ci rende più propensi a credere qualcosa se supporta la nostra visione esistente o la comprensione del mondo. Potete quindi immaginare quanto programmi televisivi sempre più incentrati sul ” problema immigrazione”, aumentino una percezione distorta sulla presunta invasione di pericolosi stranieri nel proprio paese.

Solo perché un candidato sta dicendo ciò che crediamo sia vero non necessariamente lo rende la verità. Ma per capire questo la nostra psiche dovrebbe fare o aver già fatto un lavoro enorme di autoconsapevolezza.

Come può una società intera infettarsi con xenofobia e paura, arrivare a diventare razzista l’abbiamo visto. Come se ne possa uscire non è semplice. Ma neppure impossibile. E’ dimostrato che i partiti di estrema destra si sono rafforzati negli anni recenti non grazie a capi carismatici e leader chissà quanto straordinari ma solo per via della paura e per aver egemonizzato il discorso razzista sugli immigrati. E’ dimostrato che gli altri partiti che sono andati appresso a questa tematica e che i media mainstream hanno rafforzato questo story telling. Ed è dimostrato che solo le emozioni più che i ragionamenti razionali, possono seriamente cambiare gli atteggiamenti ed opinioni. Vogliamo fare rete? Perfetto. Bisognerebbe che ognuno di noi iniziasse a fare  politica nella propria vita di ogni giorno: parlando attraverso le emozioni, cioè mettendosi in gioco con l’altro. Se conosci qualcuno che sta diventando razzista o crede nella narrazione xenofoba, devi adottarlo: disprezzare chi ha paura non serve, fargli capire che è un coglione non serve, non capirà e la sua opinione si radicalizzerà. Bisogna parlargli con il cuore, so che sembra buonista e fuori moda ma è l’unico modo. Contemporaneamente giornalisti e media dovrebbero riconoscere la loro estrema responsabilità in un momento del genere e smetterla di inseguire i click e l’audience e  rinunciare a seguire una narrazione della paura. I partiti politici che inseguono l’estrema destra sul terreno della paura e della lotta senza quartiere all’immigrato, dovrebbero fermarsi. Tutto ha un inizio e una fine. Bisogna smetterla di rilanciare i tweet di Salvini, smetterla di aumentare le sue interazioni e visualizzazioni. Smetterla di cadere nel giochetto che il problema è l’immigrato: se ci sono diseguaglianze, se c’è povertà o sfruttamento non è colpa di chi sta peggio di te, ma di un sistema che è profondamente ingiusto nelle sue fondamenta. Solo prendendo noi per primi coscienza che che l’estrema destra è il sintomo di un malessere più profondo, potremo guarire.

Può ” Il cambiamento” reggersi su un uomo solo al comando?No, valeva per Renzi e oggi vale per Salvini.

Mio articolo originariamente scritto sull’Huffington Post nel 2014

Renzi è figlio del pensiero debole post moderno: mettendo al bando gli ideali ciò che conta è la performance e la seduttività del singolo. Sono decenni che se ne scrive : da quando la società narcisistica è stata illustrata da Lusch si sono fatti passi da giganti fino ad arrivare ad una totale estetizzazione della politica. “Oggi, il vettore dell’estetizzazione del mondo non è più l’arte, ma il consumo “. Per Gilles Lipovetsky, il trionfo del “capitalismo artista”, che ha fatto dell’estetica uno strumento essenziale della propria espansione, sta trasformando radicalmente la società e la percezione stessa dell’arte. Estetizzazione della politica.

In questo contesto di narcisismo, individualismo, in cui la velocità si è mitologizzata e conta più la performance del singolo che l’ideale o la visione collante del gruppo, Renzi ci sguazza. Ho letto molte analisi sul perché il sindaco di Firenze ha tentato la fortuna: le prossime elezioni europee in cui il PD rischiava di essere travolto da Grillo, più di 400 manager di stato che aspettano le nuove nomine, un Letta impaludato che avrebbe logorato la personalità del fare di Renzi.

Ma a mio avviso è importante notare anche quanto tutte queste manovre siano psicologicamente legate al personaggio Renzi. È normale proiettare su un unico uomo al comando capacità taumaturgiche miracolose? Infondo la maggioranza parlamentare che avrà sarà la stessa di Letta, cosa cambia? Cambia che Renzi con il suo Ego fortissimo è convinto ed ha convinto che è lui: la sua personalità decisionista e Smart a fare la differenza. Questo a mio avviso è molto pericoloso: non può essere solo il carattere di una persona a marcare la differenza e non è sano legare un cambiamento alla personalità esuberante di un singolo. Renzi è un front man, dietro di lui ci sono poteri che desiderano un cambiamento ma quanto questo mitico cambiamento sarà radicale o solo un rinnovamento di vertici ai poteri?

Ci saranno operazioni vistose di make up buone per affascinare la massa ? Certamente sì e già dai primi giorni. Renzi si regge sul sedurre il popolo, deve piacere e mantenere questa allure di velocità o novità o è finito. Ma attenzione, lo dico anche ai tanti amici amanti del nuovo e deprecatori delle ideologie: non di sola abilità scenica vive uno spettacolo ma soprattutto di un racconto, una visione, una narrazione. I monologhi li abbiamo già vissuti e al loro destino dipende il destino di tutto il teatro. Talvolta al bagaglino si fa sold out, talvolta, se la recitazione non soddisfa le aspettative ti tirano i pomodori e il cartello cambia in ” In vendita”.

L’ambizione è importante nella vita così come una giusta e sana dose di narcisismo, l’arrivo amo spietato da yuppi anni ’80, confidare in modo esagerato nel proprio Ego, può essere pericoloso e per quanto nell’alveo costituzionale, ben poco politicamente corretto.